Le Leggi

Codice civile

In base agli articoli 2222-2228 (Disposizioni generali sul lavoro autonomo) e agli articoli 2229-2238 (Delle professioni intellettuali) del Codice civile è lavoratore autonomo chi esercita un’attività professionale (in questo caso giornalistica) in modo autonomo e indipendente, cioè senza subordinazione al potere gerarchico del datore di lavoro e senza essere vincolato ad orari di lavoro o alla presenza in redazione.
Il giornalista autonomo in senso stretto, o freelance (e quindi non si include in questa categoria il giornalista titolare di una collaborazione coordinata e continuativa) esercita la professione giornalistica secondo le seguenti forme e modalità:

– in modo autonomo mediante apertura di partita Iva (libero professionista in senso stretto);
– come attività giornalistica autonoma occasionale;

Il lavoratore autonomo non viene assunto, ma sottoscrive con l’editore un contratto individuale di prestazione lavorativa. Al contratto individuale si applicano le norme generali dei contratti (non di lavoro).
Sempre secondo il Codice civile (art. 1321 e successivi), “le parti possono determinare liberamente il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge. Il contratto vincola le parti tra loro con la stessa forza di una legge e produce effetti solo tra le parti stesse”.

Riforma Biagi e Riforma Fornero

Dopo l’introduzione nell’ordinamento italiano delle prime forme di flessibilità con il pacchetto Treu (1997) è stata la cosiddetta Riforma Biagi (artt. 61-69 del D.Lgs. 276/2003, poi in parte modificati dalla Riforma Fornero) ad introdurre e disciplinare le nuove tipologie contrattuali del “lavoro a progetto” e del “lavoro occasionale”, eliminando il cosiddetto “rapporto di collaborazione coordinata e continuativa”, tranne che per gli iscritti agli ordini professionali, tra cui quindi i giornalisti.
Infatti, il comma 3 dell’art. 61 del decreto legislativo, che eliminava le collaborazioni coordinate e continuative,  prevedeva tuttavia che: “Sono escluse dal campo di applicazione del presente capo le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo”.
Rimane quindi in vigore per i giornalisti (e le altre professioni intellettuali) il vecchio regime delle collaborazioni coordinate e continuative.
Occorre però tenere presente che quando il rapporto di lavoro (ancorché formalmente sia definito autonomo) presenti in concreto le caratteristiche della subordinazione, è possibile chiedere, mediante ricorso alla Magistratura, il riconoscimento della natura subordinata del rapporto per ottenere la conversione della  co.co.co in un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato (è la sanzione che l’ordinamento prevede, alla fine di un procedimento giudiziale ad hoc).
Gli ultimi interventi normativi in materia di lavoro sono quelli previsti dal Jobs act, che finora ha interessato i rapporti di lavoro subordinato a termine, la disciplina dell’apprendistato, la riorganizzazione degli ammortizzatori sociali (per la platea dei lavoratori iscritti all’Inps), l’introduzione del contratto a tutele crescenti, lasciando però invariata la situazione degli iscritti agli ordini professionisti titolari di contratti di collaborazione autonoma (per i quali non vige, dunque, il superamento delle forme di lavoro parasubordinato). Così come restano esclusi dalle previsioni della riforma Fornero in materia di presunzione di subordinazione i liberi professionisti a partita Iva iscritti ad albi o ordini.

La Legge sull’equo compenso

Il 31 dicembre 2012 è stata promulgata la legge numero 233 in materia di “Equo compenso nel settore giornalistico” pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 3 gennaio ed entrata in vigore il 18 gennaio 2013.
Il provvedimento legislativo ha lo scopo di promuovere l’equità retributiva dei giornalisti lavoratori autonomi. La legge si applica ai giornalisti che:
1) siano iscritti all’Ordine  professionale;
2) siano titolari di un rapporto di lavoro non subordinato “in quotidiani e periodici, anche telematici, nelle agenzie di stampa e nelle emittenti radiotelevisive”.
Per equo compenso, la legge intende “la corresponsione di una remunerazione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto, tenendo conto della natura, del contenuto e delle caratteristiche della prestazione nonché della coerenza con i trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria in favore dei giornalisti titolari di un rapporto di lavoro subordinato”.
Di grande rilevanza giuridica deve considerarsi l’applicazione ai giornalisti lavoratori autonomi, prevista specificamente dalla legge, dell’art. 36 della Costituzione, che è applicato esclusivamente nei confronti dei lavoratori subordinati. L’art. 36 della Costituzione sancisce il diritto per ogni lavoratore “ad una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.
All’articolo 2 la legge istituisce presso il Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri la Commissione per la valutazione dell’equo compenso, presieduta dal Sottosegretario all’editoria e composta da 6 membri in rappresentanza di: Ministero del lavoro, Ministero dello sviluppo economico, Fnsi, Ordine, Inpgi e Fieg. La Commissione dura in carica tre anni, scaduti i quali (31 dicembre 2015) cessa dalle proprie funzioni.
Il compito della Commissione è quello di:
a) definire l’equo compenso dei giornalisti iscritti all’albo non titolari di rapporto di lavoro subordinato “avuto riguardo alla natura e alle caratteristiche della prestazione nonché in coerenza con i trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria in favore dei giornalisti titolari di un rapporto di lavoro subordinato”;
b) redigere e aggiornare un elenco dei mezzi di informazione che garantiscono il rispetto di un equo compenso.
Dal primo gennaio 2013, la mancata iscrizione in tale elenco per un periodo di tempo superiore a sei mesi avrebbe dovuto comportare “la decadenza dal contributo pubblico in favore dell’editoria, nonché da eventuali altri benefici pubblici, fino alla successiva iscrizione”.
Prima della clausola di invarianza finanziaria, la legge 233/2012 prevede infine che il Presidente del Consiglio trasmetta “ogni anno una relazione alle Camere sull’attuazione della presente legge”.
La Commissione si è insediata il 4 marzo 2013 e ha proseguito i suoi lavori nei mesi successivi.
Il 19 giugno 2014 dopo aver recepito gli accordi in materia sottoscritti tra la Fnsi e la Fieg, la Fnsi e Aeranti Corallo, la Fnsi e l’Uspi, la Commissione ha approvato la delibera per la definizione dell’equo compenso del lavoro giornalistico autonomo.
Il Consiglio Nazionale dell’Ordine professionale ha presentato, successivamente, ricorso al Tar per chiedere l’annullamento della delibera. Il Tar del Lazio, con sentenza del 7 aprile 2015 ha accolto il ricorso dell’Ordine e ha cassato integralmente la delibera della Commissione, che di conseguenza, non ha più alcun effetto giuridico.
In attesa delle decisioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri (ricorrere al Consiglio di Stato o riconvocare la Commissione) gli accordi contrattuali sul lavoro autonomo sottoscritti dalla Federazione della Stampa con le altri parti sociali (Fieg, Aeranti Corallo e Uspi) hanno piena validità operativa e giuridica.
A livello regionale, intanto, l’equo compenso del lavoro giornalistico ha iniziato ad essere oggetto di alcune proposte legislative e di provvedimenti di sostegno all’editoria locale, proposte che prevedono che i fondi disponibili per l’editoria vengano assegnati sulla base della rispondenza a criteri certificati dell’organizzazione delle redazioni e della qualità del lavoro:
-> Rispetto delle normative vigenti in materia
-> Corretto inquadramento contrattuale dei giornalisti (sia interni che esterni)
-> Equa retribuzione per i collaboratori.

Approfondimenti

EQUO COMPENSO – GAZZETTA UFFICIALE 3.01.2013 – LEGGE 31.12.2012 N. 233