Congresso Assostampa 30/11/2015 Prima Parte

Moderatore
Io inizierei subito i lavori ed entrerei subito nel merito delle questioni chiedendo a Raffaele Lorusso, che è il presidente dell’Associazione della Stampa della Puglia uscente, che nel frattempo è diventato anche segretario, quindi in una relazione mette tutto dentro, e quindi riesce tranquillamente a sintetizzare il quadro complessivo. Per cui gli darei immediatamente la parola, così senza convenevoli possiamo cominciare i lavori di questo settimo congresso. Grazie.

Dott. Raffaele LORUSSO
Io parlo da presidente uscito. Grazie a tutti. (Legge relazione)

Moderatore
Grazie Raffaele Lorusso, che devo dire ha fatto una relazione nel merito, coraggiosa e concreta, e quando si parla chiaro poi è più facile, purtroppo nei congressi non sempre avviene, e questo lo sappiamo tutti, invece questo avvio consente di poter ragionare e quindi anche negli interventi che adesso seguiranno per il saluto, e io voglio ringraziare il segretario generale dei sindacati confederali CGIL, CISL e UIL per gli interventi che seguiranno, perché potranno intervenire nel merito delle questioni, al di là proprio del saluto. Quindi io … imbarazzo, però vi solleciterei, visto che si tratta di questioni non secondarie, che non coinvolgono una categoria, ma coinvolgono proprio la società civile e il paese. Detto questo, dicendo che ovviamente sono aperte le iscrizioni a parlare per gli interventi ovviamente poi a seguire, interventi che ovviamente non potranno superare i dieci minuti, lo dico ai colleghi delegati ecc., per mantenere in tempi accettabili, lo diciamo prima. Chi vuole iscriversi può farlo. Adesso passiamo quindi agli interventi di saluto, e non solo, dei segretari confederali a partire dalla CGIL, Gianni Forte, che invitiamo quindi al tavolo.

Gianni FORTE
Grazie dell’invito, vorrei fare gli auguri a Raffaele Lorusso per l’incarico che ha già avuto, che sta già rivestendo a livello nazionale, e a tutti voi congressisti che vi accingete ad eleggere le vostre nuove rappresentanze. Fare rappresentanza in questa fase non è un compito facile, mi rendo conto che per il sindacato dei giornalisti in una fase così complicata, così come veniva descritta da Raffaele, è ancora più difficile, sapendo che il clima nel quale ci muoviamo tutti è un clima all’interno del quale non c’è molto spazio per i corpi intermedi della rappresentanza, sono spazi che si restringono sempre di più perché prevale questa idea che, a partire da chi governa, possa fare a meno del confronto con i corpi intermedi, perché si può comunque governare a prescindere dal confronto, in una logica di rapporto diretto fra chi governa e governati.
E questa è una prassi che ormai si va sempre più affermando, che restringe gli spazi della democrazia, perché quando non c’è confronto non c’è democrazia, si restringono gli spazi appunto come dicevo della democrazia, non si favorisce la costruzione di un’idea di governo che sia partecipata. E mi rendo conto delle difficoltà che la federazione dei giornalisti sta incontrando per il contratto, ma sono difficoltà che si stanno registrando complessivamente nell’ambito del rinnovo dei contratti, perché le imprese tendono in questa fase a far prevalere un’idea che non può essere condivisa, che è quella che rispetto alla contrattazione bisogna guardare sempre di più ad un sistema, ad un modello all’interno del quale il contratto nazionale non c’è più e che alla fine tutto si possa risolvere in un depotenziamento della pratica contrattuale, e quindi del rapporto diretto anche qui con i singoli lavoratori, ma sapendo che quando non c’è più la contrattazione collettiva a pagarne le conseguenze sono proprio i lavoratori più deboli e pensiamo a tutta quell’area della precarietà a cui Raffaele ha dedicato gran parte della sua relazione.
Ora la precarietà – noi non lo denunziamo da oggi, ormai dagli inizi del 2000, diciamo dal pacchetto Treu in poi – sta rappresentando una minaccia vera per il mondo del lavoro, quando non ci sono più riferimenti certi in termini di garanzie per chi lavora non solo si determina una destrutturazione stessa del lavoro, ma si creano i presupposti perché il lavoro stesso risulti dequalificato, perché il lavoro non può essere inteso come una pratica all’interno della quale non ci siano regole, il lavoro senza regole non è più un lavoro, oppure diciamo che un lavoro senza regole ha solo un nome, che è sfruttamento. E quello che si determina nella vostra categoria diciamo che è uno spaccato di quello che avviene nel mondo della precarietà e quali sono i guasti che determinano la precarietà. L’ha detto bene Raffaele in termini di qualità dell’informazione, diciamo qualità del prodotto, noi ci rendiamo anche conto quando abbiamo a che fare con operatori della stampa che sono giovani, ragazzi alle prime esperienze, che a volte non sanno manco in quale contesto si trovano, siamo consapevoli molto spesso che il risultato di quel lavoro che sta facendo non sarà un risultato all’altezza, ma non perché ci sono responsabilità da parte di quell’operatore, la responsabilità è di quell’editore che lo sta utilizzando in quel modo pur sapendo che il prodotto finale non sarà un prodotto di qualità. E questa cosa sicuramente non aiuta, non aiuta l’informazione ma non aiuta la qualità dell’informazione, non aiuta secondo noi la stessa pratica democratica che ruota intorno all’informazione, al diritto all’informazione.
Per cui battersi contro la precarietà io penso che diventa l’imperativo categorico in questa fase, sapendo che quando si crea, lo ha detto anche Raffaele, questo squilibrio fra domanda e offerta di lavoro, è chiaro che tutto si ripercuote sul piano non solo dei diritti ma del fatto che ci sia una concorrenza spietata fra persone, perché fino a quando ci saranno persone sempre più disponibili ad accettare condizioni al ribasso, è chiaro che anche i più forti, i più garantiti, saranno costretti a soccombere, Raffaele diceva è la legge del mercato, ahimè purtroppo avviene questo. Ma quando il sistema complessivamente, a livello globale, scommette sulla distruzione del lavoro e non sulla creazione del lavoro, perché questo accade, se voi pensate che basta un annuncio di una multinazionale che appunto presenta un piano di ristrutturazione basato sul taglio dell’occupazione, quindi sulla distruzione dell’occupazione, il titolo in Borsa di quella multinazionale schizza in alto. Vuol dire che il mercato investe sulla distruzione del lavoro e non sulla creazione del lavoro.
E siccome gli editori stanno all’interno di questo sistema che risente molto delle spinte di finanziarizzazione dell’economia, che sono ben presenti, è chiaro che il vostro è un settore che direttamente finisce per subirne le conseguenze.
E poi certo il giudizio di Raffaele era molto netto anche rispetto agli editori, al mondo dell’editoria, all’improvvisazione, al fatto che si aprano e si chiudano testate, però c’è anche un altro risvolto: che questa selezione, quasi una sorta di legge darwiniana, la lotta per la sopravvivenza, che si determina, rischia di creare le condizioni per una concentrazione dell’editoria e anche dell’offerta dell’informazione, e questa concentrazione mette nelle condizioni gli editori di disporre dell’informazione a proprio piacimento, sono gli editori che decidono che cosa far passare e come far passare la notizia. Guardate lo diciamo noi che continuiamo, d’altronde abbiamo pure organizzato un seminario recentemente su questa storia di come passa il lavoro all’interno dell’informazione e noi avvertiamo in maniera molto forte che c’è un’involuzione rispetto al passato, di lavoro non si parla più, o si parla quando c’è un effetto eclatante, c’è un episodio eclatante, un morto sul lavoro, un fatto eclatante come quello che è successo questa estate rispetto al caporalato, allora ecco che si accendono le luci e si parla di quel fenomeno, casomai accusando poi i sindacati, dicendo “ma dove è stato fino adesso, perché non l’ha fatto”, e casomai non accorgendosi di quello che avviene quotidianamente nelle battaglie che si fanno, a prescindere dal caso eclatante che scoppia.
Ma quello che avvertiamo è che il lavoro non passa nell’informazione, si dice non fa notizia, ma chi decide che cosa fa notizia? Chi lo decide? Lo decide la linea editoriale di quel giornale, di quella rete televisiva. Allora fa notizia di più la politica? Io penso che molto spesso, e se vediamo tutti i giornali, anche i giornali locali, nessun giornale evita di riportare un fatto che è accaduto nell’ambito delle istituzioni regionali, può essere anche un fatto insignificante, di poco conto ma che viene lanciato lì. Io non so se i lettori sono molto sensibilizzati rispetto a quello che avviene all’interno della politica in questa fase, anzi, per un processo di disaffezione nei confronti della politica io avverto addirittura il contrario. Casomai gli elettori sarebbero molto più interessati, in questa fase, che si parlasse di fatti reali che interessano e che incrociano la loro vita quotidiana, e se noi parliamo con qualsiasi persona l’angoscia maggiore che subisce è quella appunto del lavoro, in maniera diretta, perché il lavoro lo ha perso, o è minacciato, o in maniera indiretta, penso ai figli o ai nipoti. Quindi l’angoscia più forte che vivono le famiglie in questa fase è quella della mancanza del lavoro, di un lavoro precario e di un ragazzo che è costretto ad acconciarsi su condizioni a volte che non garantiscono la costruzione di un futuro, di mettere su famiglia, di costruirsi un’idea di certezze.
Allora questo è il punto: come mettiamo insieme questa idea di valorizzazione del lavoro su cui dobbiamo essere tutti impegnati. Io penso che il mondo dell’informazione, parlo degli operatori, possa dare un grande contributo in tal senso, certo con tutte le difficoltà che rivengono da queste situazioni che mettono in discussione posti di lavoro, con alcune testate che si chiudono, ma anche nel sistema dell’informazione televisiva. E allora se la priorità è la qualità del lavoro, io penso e sono d’accordo con le proposte che faceva Raffaele, noi dobbiamo assumere questo discrimine: che qualsiasi contributo, qualsiasi intervento, qualsiasi scelta, qualsiasi opzione che si pratica, deve essere legata al rispetto dei diritti dei lavoratori e alle garanzie che devono essere assicurate ai lavoratori, io penso che questo discrimine deve valere sempre, in assoluto, perché può consentire anche alle istituzioni, anche a coloro che non solo indirettamente ma anche direttamente possono diventare soggetti che intervengono nel mondo dell’informazione e assumono, attraverso l’azione legislativa, attraverso l’azione normativa, i regolamenti, questo discrimine forte che può caratterizzare qualsiasi azione.
E su questo, e chiudo, io penso che noi dobbiamo riuscire a trovare il modo di dialogare sempre di più fra sindacato confederale e sindacato dei giornalisti, anche perché nel mondo dell’informazione non operano solo i giornalisti ma penso a tutta la parte operaia del sistema editoriale, penso appunto ai poligrafici, che vivono le stesse conseguenze, le stesse difficoltà di questa situazione di grande crisi. Quindi riuscire a creare l’unità e anche individuare momenti di condivisione rispetto a determinate battaglie io penso che sia l’operazione più opportuna da fare in questa fase per riuscire a venirne fuori nella maniera migliore, perché il rischio che corriamo è che, alla fine, non solo il lavoro complessivamente risulta destrutturato e anche svilito, ma che a farne le spese sono persone che casomai hanno investito nella loro professione, ci hanno messo anche il cuore e l’anima, e si ritrovano in una situazione di grande difficoltà anche in età avanzata, con il diritto alla pensione, che oltretutto è minacciato e che sta diventando un problema vero, non a caso CGIL, CISL e UIL hanno deciso proprio in questi giorni di rilanciare la battaglia per la modifica della Fornero con tre iniziative, grandi iniziative che terremo a livello nazionale, una di queste è a Bari il giorno 17 per tutto il Mezzogiorno, all’interno delle quali noi metteremo al centro appunto la modifica della Fornero per assicurare il diritto alla pensione a coloro che hanno lavorato per una vita. Grazie, buon lavoro.

Moderatore
Grazie a Gianni Forte, che nel suo intervento devo dire ha affrontato le questioni di merito, e su questa via chiederei subito a Giulio Colecchia, segretario generale della CISL di Puglia e Basilicata, di intervenire, di portare il suo saluto, nel merito sempre, io mi permetto in maniera un po’ impertinente di…

Giulio COLECCHIA
Tu sai bene che non sapremmo essere formali, didascalici, per natura, non solo per mestiere, e proprio con questo spirito, con questa attenzione ai lavori di questo congresso io vi ringrazio per l’invito. Vi ringrazio soprattutto perché, anche dalla relazione di Raffaele, abbiamo potuto riscontrare quelle sintonie che ci confermano in un cammino che come sindacato confederale stiamo conducendo, ma che a questo punto vuol dire che ancora di più può trovare su questa strada ulteriori alleanze. Già il lavoro che è stato messo in piedi nel tempo, credo io tra CGIL, CISL, UIL e la federazione della stampa nazionale, è stato un lavoro importante che ha visto soprattutto i livelli apicali dell’organizzazione dialogare in maniera forte. I temi che abbiamo di fronte, diceva Raffaele, sono quelli soprattutto della riconferma della contrattazione come elemento determinante in una società che è più incline a cercare altre forme di regolamentazione, quindi saltando i corpi sociali, come ricordava anche Giovanni, una contrattazione che non va difesa come totem ma come elemento di equilibrio in una società magmatica, non voglio essere tra quelli che citano Baumann ma è così, molto liquida, molto dissoluta nella capacità di costruire delle reti, e quindi sistemi di tutela, di difesa, di rappresentanza, una contrattazione che quando è affidata alle parti riesce a dare delle risposte anche nel segno dell’innovazione, così come Raffaele indicava nella sua relazione, penso ad accordi contrattuali recenti, importanti, nazionali, alla contrattazione di secondo livello che man mano sta prendendo piede, in maniera preoccupante per chi vorrebbe soltanto il contratto nazionale, e quindi la possibilità di discutere realmente di recuperi di produttività, non in maniera teorica, non soltanto affidata agli studi, alle ricerche di centri universitari, vari centri nazionali, e una contrattazione che qualche giorno fa, per esempio cito il contratto nazionale del trasporto pubblico locale, ha dato una risposta che era ferma da sette anni, per milioni di lavoratori, centinaia di migliaia di famiglie. Una contrattazione che invece è negata quando vede lo Stato come protagonista, la manifestazione che c’è stata sabato sul pubblico impiego non è stata una rituale alzata di scudi di difesa ma la sottolineatura che in questo paese in cui si procede con riforme il tema del lavoro, il tema del contratto, del salario, della capacità di spesa delle famiglie, è affidato soltanto alle ricerche, non è affidato alla capacità reale poi invece di riempire di contenuti il salario, dare la possibilità alla gente di avere un contratto rinnovato.
Quindi la contrattazione, mi piace richiamarlo questo aspetto e sottolinearlo, l’autonomia della contrattazione è un elemento di cui ha bisogno il paese. In questo momento in cui si parla di riforme, in questo paese in cui il cambiamento è rappresentato come con una visione di un “nulla sarà più come prima”, un nulla sarà più come prima che però non dà una prospettiva, non dice come deve essere il paese, quindi un “nulla sarà più come prima” che sentiamo ripetere continuamente da chi ci vuole convincere che siamo in una fase di avanzato cambiamento, cosa di cui siamo convinti, ma che vorremmo capire anche dove ci porta questo cambiamento e con quali strumenti, verso quali approdi, in questa difficile stagione di riforme senza bussola, mi piace definirle, quindi in cui si brancola, la contrattazione deve restare, dobbiamo difendere la contrattazione appunto come un elemento di certezza per i lavoratori, ma anche per i cambiamenti ai quali ci si riferisce.
Va bene, è chiaro che bisogna cambiare, bisogna modificare i comportamenti, bisogna assumere anche i nuovi sistemi di lavoro, bisogna interrogarsi su come sarà il lavoro del futuro, bisogna vedere come la rivoluzione digitale ci impone nuove scelte e come noi ci rapportiamo alla rivoluzione digitale, ma non dobbiamo mai dimenticare in questa fase di cambiamento che chi popola il mondo sono gli uomini e le donne, e non è l’informatica, chi anima, chi dà vita è l’umanità su questa terra, non sono certo i software.
Allora la dipendenza dell’innovazione, delle tecnologie, dei cambiamenti, dall’uomo, è quello che non solo deve venire fuori dalle indicazioni del Papa ma deve venir fuori anche da una società intelligente che si interroga sul cambiamento e lo sa far diventare a dimensione di persona, non a dimensione soltanto di profitto e di interessi.
Il lavoro quindi deve restare, secondo noi – ed è comune la condivisione – sicuro e dignitoso, un lavoro dignitoso vuol dire un lavoro che non fa della precarietà la regola, può essere la flessibilità un elemento importante da sperimentare, da contrattare, la precarietà è la degenerazione di questo aspetto, e deve essere un lavoro sicuro, perché sul tema della sicurezza poi ci si ricorda soltanto nei momenti in cui si fanno i conti sugli infortuni, sulle stragi, sui morti sul lavoro. Noi siamo su questo credo in un percorso avanzato, condiviso con voi e vogliamo rafforzarlo ancora di più come CISL, come sindacato confederale, dobbiamo porci insieme in questa battaglia, convinti di poter affrontare insieme i problemi dell’editoria, anche di quella 2.0, cercando le soluzioni possibili per lavoratori e lavoratrici del vostro settore e per quelli ovviamente che rappresentiamo anche noi, e per rafforzare la democrazia nel paese, perché questa è l’altro elemento che mi piace richiamare, di forte condivisione, questo considerare il ruolo e l’attività del sistema dell’informazione, chi ci opera, sopratutto i lavoratori, intorno, dentro, a questo sistema dell’informazione, come un elemento di rafforzamento della democrazia. Oggi democrazia citata ma assolutamente attaccata dallo scarso dialogo sociale, dai conflitti tra le istituzioni e da un nuovo modello di censura che si esercita proprio con la riduzione degli spazi all’informazione, a quella vera, a quella che non fa cassetta, non all’informazione dei talk-show, a quella che sa essere dalla parte solo dei cittadini. Allora bisogna dedicarsi ai cambiamenti guardando come stiamo facendo anche rispetto agli altri aspetti, agli altri skill professionali, negli altri settori, a come cambia la professione del giornalista guardandola sì con occhi nuovi, ma consapevoli che la carta stampata e la carta digitale devono poter convivere nel futuro dell’editoria. Quindi l’accettare il progresso ma farlo diventare un progresso appunto al servizio della comunità oltre che delle persone che ci lavorano. Su questo credo che non mancheranno altri elementi e momenti di confronto, credo che il lavoro che conduciamo quotidianamente insieme ci mette a confronto con tanti di voi, moltissimi giornalisti come sindacato, e abbiamo la possibilità credo ancora di segnare delle tappe importanti di difesa della società e di avanzamento della società, che ripeto non può essere affidata in questo momento alla politica, non può essere affidata alle istituzioni, che hanno altro a cui pensare, e credo che debba vedere in maniera ancora più forte il ruolo delle parti sociali in questo tentativo che stanno facendo di ricondurci in un angolo, invece le parti sociali devono tentare in maniera ancora più forte di rappresentare non solo i diritti delle persone che appunto a noi si rivolgono, ma quella visione di società che manca sia al sistema delle imprese, sia al sistema della politica in questo paese. Buon lavoro.

Moderatore
Grazie a Giulio Colecchia, che ha inserito anche quest’altro elemento dell’innovazione, che credo sia determinante, specie per il tipo di lavoro che facciamo. Darei subito la parola ad Aldo Pugliese, segretario generale della UIL di Puglia.

Aldo PUGLIESE
Io innanzitutto desidero complimentarmi e condividere la relazione di Raffaele Lorusso, che è una relazione che è rivolta ai lavoratori della stampa e che quindi, come tale, praticamente è una relazione che possiamo dire che è come se fosse una relazione fatta in un congresso dei lavoratori che fanno parte delle organizzazioni sindacali confederali. Giustamente diceva inizialmente che, praticamente parlava di una ripresa che noi non vediamo, e soprattutto noi non la vediamo nel Mezzogiorno, ultimamente poi vengono dati dei risultati per quanto riguarda i livelli occupazionali che portano la Puglia ad essere la regione che ha perso più posti di lavoro.
Quindi una ripresa che, se c’è non lo so, forse è nel nord-est del nostro paese, ma certamente qui nella nostra regione non c’è, in una regione dove ci sono oltre 300 mila disoccupati e ai 300 mila disoccupati noi dobbiamo aggiungere poi i 300 mila giovani cosiddetti NIT, 340 mila che praticamente non studiano e non sono alla ricerca di un posto di lavoro perché rassegnati.
Poi quando parliamo e di precariato, e di perdita di posti di lavoro nel mondo della stampa, è un problema anche questo di carattere generale perché praticamente precariato e sfruttamento sono sempre più all’ordine del giorno e le leggi, e quanto viene disposto a livello nazionale, certamente non ci aiuta, anzi praticamente colpisce ancora maggiormente, io penso al cosiddetto job-act, alla soppressione dell’art. 18, e al fatto che poi si parla di un incremento dell’occupazione e questo incremento dell’occupazione parlano delle cosiddette tutele crescenti quando poi praticamente queste assunzioni non sono a tempo indeterminato, perché comunque il lavoratore può essere licenziato in qualsiasi momento. In questi ultimi tempi, poi, noi abbiamo avuto una fortissima crescita dei cosiddetti voucher, i voucher che riguardano l’intero mondo, quindi anche il mondo della stampa, e che in alcuni casi vengono utilizzati per dare copertura agli infortuni che avvengono nel mondo del lavoro, per cui all’infortunio immediatamente si tira fuori il voucher.
Ora, in questo tipo di situazione è chiaro che la messa in discussione, la precarietà del posto di lavoro costringe poi i lavoratori in generale, quindi anche i lavoratori che operano nella stampa, a un forte condizionamento rispetto alla loro attività nella speranza di poter continuare a lavorare. E io ritengo che questo forte condizionamento poi induce anche nell’informazione che viene data, che praticamente risente di questo forte condizionamento. I problemi che sono stati esposti da Raffaele Lorusso sono proprio in tale direzione e sono problemi che riguardano tutti quanti noi, riguardano l’intero mondo del lavoro, dove si tenta di sopprimere la contrattazione a livello nazionale, dove noi riteniamo invece la cosa insopprimibile ed è un problema che riguarda tutte le categorie perché praticamente con il contratto nazionale di lavoro lì si stabiliscono le norme, i trattamenti economici, le regole che devono valere per tutti a livello nazionale. E la soppressione di un contratto nazionale di lavoro significherebbe soprattutto un peggioramento delle condizioni per quanto riguarda i lavoratori del Mezzogiorno. E quindi nella contrattazione nazionale, così come nelle contrattazioni che noi svolgiamo a livello locale, praticamente il problema dell’occupazione deve essere una priorità, i dati drammatici che sono stati snocciolati nella relazione ci dicono in termini molto chiari praticamente quali sono le perdite dei posti di lavoro che avete subito voi come mondo dell’informazione, ma sono posti di lavoro che poi praticamente li abbiamo persi un po’ dappertutto. Motivo per cui la priorità, che è una priorità che deve valere innanzitutto per tutto il mondo del lavoro, ed in questo io ritengo che il mondo dell’informazione può svolgere un ruolo importante, molto spesso, soprattutto di questi tempi, c’è una sorta di controllo dell’informazione a livello nazionale, motivo per cui chi dice quello che governa a livello nazionale diventa una cosa che vale per tutti e quindi poi quelli che sono i problemi che ne divengono passano in sottordine o in secondina, motivo per cui noi ci troviamo in una situazione estremamente difficile e precaria.
Ecco perché io ritengo che noi dobbiamo assolutamente cercare di vedere il modo, i termini per realizzare una alleanza con il mondo dell’informazione, perché riteniamo essere un fatto estremamente importante che l’informazione possa essere libera e che soprattutto possa dare spazio a quelli che sono i problemi che interessano la collettività del mondo del lavoro.
Noi, veniva detto prima, il 17 di dicembre al Teatroteam a Bari, fare una delle tre manifestazioni nazionali, una si terrà a Torino, l’altra a Firenze e, per quanto riguarda le regioni del sud, la terremo qui a Bari il 17 dicembre al Teatroteam, e parleremo qui di un problema che è stato ampiamente trattato nella relazione di Raffaele, ed è quello della questione del previdenziale, delle pensioni e della riforma della legge Fornero, per permettere una maggiore flessibilità in uscita per quanto riguarda i lavoratori, trovandoci con una legge Fornero che è fortemente penalizzante per l’intero mondo del lavoro e per la quale quindi noi chiediamo una riforma, e nella manifestazione che noi faremo il 17 dicembre in tutta Italia, quindi a Bari per il sud, agganciamo il problema delle pensioni, della riforma del sistema previdenziale con quello della occupazione. Noi riteniamo che un sistema previdenziale pensionistico più flessibile possa produrre anche maggiore e migliore occupazione per il mondo giovanile. È un problema, questo, importante, perché al giorno d’oggi i giovani non è che riescano facilmente a trovare un’occupazione e, quando ci riescono, praticamente affinchè questa occupazione diventi duratura ed indeterminata passano anni e anni, e quindi chissà poi per quanto riguarda il sistema previdenziale e la pensione come andrà a finire.
Ecco perché noi ci ritroviamo pienamente, per quanto riguarda le vostre problematiche, perché sono problematiche che interessano l’intero mondo del lavoro e quindi con questo io auguro a tutti quanti voi un buon lavoro e arrivederci al 17 dicembre.

Moderatore
Grazie ad Aldo Pugliese e ai tre segretari confederali. Adesso, se siamo d’accordo, proprio per sfruttare al massimo le cose, e visto che qua il tema previdenziale mi sembra quello su cui si batte non solo sul versante editoriale, ma anche sul versante più generale, io darei la parola al presidente dell’Inpgi Andrea Camporese, che ci dirà un po’ la situazione, che ovviamente mi interessa particolarmente.

Andrea CAMPORESE
Grazie a voi, grazie, l’affetto e la storia che mi lega a questa terra sono antichi, quindi ogni volta che vengo in Puglia per me è molto importante. Intanto grazie a Raffaele, grazie per la sua relazione, devo dire molto articolata, molto profonda, molto seria, faccio fatica a trovare elementi sui quali non posso essere d’accordo.
Ora noi viviamo in un’era di social network, in realtà molto network e poco social, nella quale il rigore del pensiero, l’aderenza alla verità sostanziale dei fatti e la capacità di elaborare una visione di futuro in un contesto di confronto democratico è totalmente perduta. Quindi noi viviamo sotto la pressione, io non credo ma alcuni di noi, di un mondo che in realtà, come si è detto, rappresenta un’estrema minoranza, ma che agisce sulla pancia di una categoria che stenta ad avere una nuova e futura classe dirigente. Questo tema è un tema molto rilevante, sul quale non mi soffermerò, però vorrei darvi un quadro sulla verità sostanziale dei fatti, cioè che cosa è accaduto negli ultimi sei anni, Raffaele ha dato molti numeri, io ne aggiungo solo pochi: noi abbiamo perso il 18% dell’occupazione mentre il paese perdeva il 3.8, cioè stiamo parlando di una depressione che non solo non ha paragoni nella storia del giornalismo, ma non ha paragoni nella storia di nessuna categoria di lavoratori del paese. Una depressione di questa misura in questo tempo è qualcosa di incredibile.
Nel frattempo, in questa condizione l’istituto che presiedo ha stanziato 300 milioni di euro sugli ammortizzatori sociali, in più di quanto ha ricevuto dal sistema datoriale, ha generato plusvalenze di natura di investimenti superiori ai 500 milioni di euro, ha messo in campo una serie di iniziative di protezione sociale in questo contesto. Guardate che per fare tutto questo non è che ci vuole Facebook, ci vuole una professionalità, una caparbietà, una determinazione assolutamente fuori dal comune, e tolgo la mia persona. Ad oggi l’istituto ha due miliardi di euro di patrimonio e ha cento milioni di euro di squilibrio tra entrare e uscite, cento milioni non generati dall’istituto, generati da quello che è stato descritto, perdita occupazionale, esplosione degli ammortizzatori sociali, fallimenti, prepensionamenti, ecc. ecc..
In questo contesto si è varata una riforma che, associata ad un’auspicabile crescita del mercato del lavoro, porta in un tempo medio ad un riequilibrio dei conti, una riforma – e questo dato vi prego di tenerlo a mente – che porta il neoassunto oggi, un collega che venisse assunto oggi, che quindi subisce l’effetto di una riforma auspicabilmente approvata e di tutte le riforme precedenti, ad avere a parità di contributi rispetto all’Inps, una pensione superiore del 21%.
Ora io non capisco la razionalità, cioè capisco le critiche che sono legittime, non capisco la razionalità di chi pensa che una riforma di questo tenore sia uno scandalo, favorendo un’onda di ritorno da parte dei ministeri vigilanti estremamente pericolosa, non capisco questo autolesionismo della categoria, non lo capisco, non c’è ragione. Il livello di protezione sociale che la storia dei giornalisti ha realizzato è un unicum al mondo, oltre che in Italia. Io in ufficio ho la foto dell’Inpgi, una pagina di giornale regalatami da Giancarlo Tartaglia, 1923, noi nel ’23 avevamo delle tutele sociali che non esistevano nel paese e in Europa, noi siamo stati latori di una grandissima storia. Allora far diventare questa storia un chiacchiericcio da social network è estremamente grave, estremamente pericoloso ed estremamente insultante per la storia di una categoria, non per Andrea Camporese, che tra pochi giorni diventerà un privato cittadino.
Allora in questo contesto ce l’abbiamo messa tutta, il tema del mercato del lavoro è fondamentale, lo ha detto Raffaele, 300 assunzioni realizzate negli ultimi mesi con gli sgravi previdenziali, io credo che saranno di più alla fine, vi ricordo che dall’anno prossimo, con la stabilità approvata, gli sgravi permarranno, saranno di misura inferiore e di durata inferiore, quindi resteranno ma con meno potenza, serve assolutamente un patto di natura sociale tra parti sociali sull’occupazione, un patto molto forte, un patto che può non essere gratuito, perché pensare che sia tutto gratis e che si possa andare avanti con la testa rivolta al passato, oltre che assolutamente miope è veramente pericoloso. Quando dieci o quindici anni fa si discuteva nei congressi della federazione del tema dell’inclusione, del tema dell’allargamento del perimetro, del tema del fatto che i colleghi che stavano fuori dalle redazioni dovevano essere aiutati non solo perché lo meritavano ma perché erano garanzia della nostra permanenza nel mercato, si è verificato esattamente questo: che si è eroso il perimetro delle garanzie a partire dal disfacimento del mercato esterno, e lo avevamo visto quindici anni fa.
Allora diciamo che la crisi non ci ha aiutato, però riforma, mercato del lavoro, rinnovazione contrattuale, spirito innovativo e riformista, che non significa distruggere le tutele ma non significa nemmeno pensare che nella trattativa non ci siano benefici e scambi, ci deve essere questa dimensione. Allora, a proposito di storia, l’Inpgi è stato richiamato, ha deliberato ed è sottoposta all’approvazione dei ministeri vigilanti la copertura Casagit, pagata dall’Inpgi, per 8.000 colleghi non dipendenti, in un profilo che scoprirete presto, che qualcuno definisce sempre sui famosi social – scusate se li cito, io non li leggo ma continuamente mi viene riferito – definisce ridicolo, allora con un profilo di protezione invece altissimo pagato dall’Inpgi, questa è storia, “questa è storia” colleghi, questo è un passaggio storico nella storia del giornalismo italiano, 8.000 persone che fanno fatica a campare, avranno una protezione sanitaria molto alta, pagata dai colleghi, e pagata come? Pagata con l’efficienza del sistema, non prelevando dalla loro posizione previdenziale il denaro ma realizzando un’efficienza di rendimento che permette di soddisfare i loro montanti secondo le normative di legge e di avanzare talmente tanti denari che sono sufficienti a fare queste operazioni. Questa è storia, mi pare che se ne siano accorti in pochi, cioè domani il cosiddetto salario differito un collega giovane che si ammala e che ha uno stipendio da fame, e deve curarsi, e deve spendere migliaia di euro e non li ha, domani sarà coperto dalla Casagit. Scusate se insisto ma mi pare che la dimensione di questa decisione non sia stata colta nella sua forza.
Vado avanti velocemente perché non vi voglio tediare, allora questo elemento, allargamento del welfare, allargamento del welfare integrato e sempre più ampio, il tema del welfare in Europa e in Italia è un tema drammatico, “drammatico”, questo continente e l’Italia si avvia verso pensioni sempre più basse, protezioni sociali sempre più basse. Le proiezioni attuali degli iscritti alla gestione separata dell’Inps, oltre che dell’Inpgi e di altre categorie, prevedono centinaia di migliaia, se non milioni di persone, quando le gestioni saranno mature, oggi sono a vent’anni dalla loro nascita, tra vent’anni con pensioni medie – questi dati sono confermati da noi, dall’ufficio studi della CGIL, da molti altri soggetti – inferiori ai 500 euro al mese. Ora voi mi dovete spiegare come potremmo vivere in una società che avrà due, tre, quattro milioni di persone con 500 euro di pensione al mese. Allora qualcuno ti dice: “no, ma guarda 500 euro perché non hanno versato”, certo, ma in che condizioni di mercato hanno lavorato? Qual è stata la chance che gli è stata data? Qual è stata la tutela sociale che gli è stata data nel durante? Nessuno prevede che gli si dia una pensione tripla, se non versano i contributi, ma non si può dire ad un giovane che non trova lo straccio di un lavoro che deve fare la fame, vanno create le condizioni di accesso al mercato, vanno create mettendo in discussione anche alcune cose del passato, va creata una tutela sociale allargata, ramificata e stratificata che guardi ai bisogni del mondo moderno, che non sono quelli vecchi, che costano e che vanno affrontati in una visione più ampia e più articolata.
Questa partita è una partita drammatica, che va affrontata con grande determinazione, noi l’abbiamo fatto con questa delibera, ma è solo l’inizio di un percorso, io presiedo il sistema delle professioni italiane, come sapete alcuni di voi, che sono ventisei, ho avuto l’onore per sei anni di presiedere l’associazione di tutti gli enti privatizzati italiani, quindi notai, avvocati, ingegneri, architetti, medici ecc., due milioni di persone, spendiamo 560 milioni di euro l’anno in welfare, 560 milioni del sistema, non dello Stato, sottraendo costi allo Stato, e perché lo facciamo? Perché abbiamo capito che passa di là la possibilità delle persone di lavorare, di tutelarsi e di crescere professionalmente, oltre che attraverso una serie di leggi di sistema e di accordi di natura sociale.
Quindi in questo contesto bisogna davvero cambiare il paradigma, il paradigma è che i soggetti di lavoro non sono soggetti giuridici, sono soggetti economici. Un collega che sta fuori da una redazione, anche uno che sta dentro ma soprattutto uno che sta fuori, è un soggetto economico, deve poter lavorare, non è una riga in una legge. Io frequento molto Bruxelles da alcuni anni perché sono stato per più anni vicepresidente europeo della previdenza privata professionale, ora lasciatemi dire due parole su quello che succede a Bruxelles, perché non c’è del dibattito in Italia di quello che sta succedendo a Bruxelles. Il Parlamento Europeo ha approvato una serie di leggi e di direttive che verranno applicate a partire dal 1° di gennaio del’anno prossimo, fra un mese. La prima è la generazione della tessera professionale europea, partono cinque categorie, tra queste cinque non ci sono i giornalisti, ma ci sono altre, arriveremo pure noi, tessera che permetterà l’esercizio libero della professione, delle professioni, in tutti gli Stati membri, senza alcuna barriera burocratica. Quindi se io conosco l’olandese, vado in Olanda, entro in una conferenza stampa e faccio il mio mestiere per un soggetto olandese, italiano, tedesco. Mi pare una novità. Qualcuno mi dice “sai, c’è la barriera linguistica”, sì ma insomma la barriera linguistica fino ad un certo punto colleghi.
Secondo, è stata varata la direttiva qualifiche professionali, che prevede la classificazione delle professioni, non delle professioni ordinistiche, che esistono solo in Italia, delle professioni in Europa. Allora è stata approvata la direttiva, è stato scritto agli Stati membri, si parte dalle professioni tecniche, ingegneri, architetti, geometri, ragionieri ecc. ecc., con una classificazione a livello europeo, Bruxelles chiede ad ogni Stato membro “quali sono le tue professioni certificate, validate, non solo ordinistiche? Fammi l’elenco, spiegami se ci sono sovrapposizioni fra di loro e di quale natura sono”, perché poi quando ho raccolto questi dati, metto in fila le cose e chiarisco lo spazio del mercato unico. Vi pare un processo da poco? Parliamo di noi, quando arriveremo noi lo Stato Italiano non dovrà rispondere “esistono i giornalisti” punto, no, non risponderà così, dirà “esistono i giornalisti, i web master, i web designer, i programmisti registi, gli autori testi”, l’elenco sarà infinito, e questo sarà detto a Bruxelles, e Bruxelles da lì farà dei ragionamenti. Noi non ci siamo.
Io ho avuto l’onore di essere il capofila, il leader del tavolo incardinato a Bruxelles, su questi temi, che è durato otto mesi, pochissimo per i tempi europei, ho fatto la relazione finale, siamo entrati nel finanziamento europeo, i professionisti per la prima volta nella storia dell’Unione Europea beneficeranno dei bandi, 260 milioni di euro di bandi già in essere per le professioni in Italia nelle regioni, saranno molti di più in futuro, ogni regione ovviamente nella sua autonomia andrà a finanziare le categorie professionali, la categoria professionale, le classi, anche i giovani, meno giovani, chi ha perso il lavoro, le donne, l’imprenditore, insomma sceglierà il ventaglio che è molto ampio, anche questa è una novità di assoluto rilievo, certo bisogna prenderli questi fondi, bisogna imparare a fare le domande, bisogna avere accesso, e questa è una sfida che noi dobbiamo accompagnare, dobbiamo aiutare le persone, perché noi entriamo in una linea di finanziamento che solo in Italia vale tredici miliardi di euro, dal 14 al 20, una linea che è la prima dedicata totalmente alle imprese, noi siamo entrati con quel concetto di soggetti economici, l’Unione Europea ha detto: i professionisti, giornalisti e tutti gli altri, non sono imprese, ma nel momento in cui un giornalista va sul mercato, assume un rischio simile a quello della piccola impresa, se poi assume delle persone ancora di più.
Quindi questa equiparazione ci ha portato dentro un flusso enorme di finanziamenti, nel quale dobbiamo giocare una partita. Ora questi temi non appaiono nel dibattito, appare qualcos’altro nel dibattito, appaiono fesserie, cattiverie, veleni, ora per uno come me che per otto anni si è caricato di una responsabilità con i limiti di una persona su temi di questa rilevanza, vedere campagne elettorali ridotte o alla mistificazione, alla demagogia o semplicemente ad affermazioni ridicole, tipo l’Inpgi vuole svendere i suoi immobili. Vi chiarisco questa cosa: noi abbiamo uno squilibrio di portafoglio dovuto al fatto che per cento anni, “cento”, l’ente ha solo comprato immobili, non ha mai venduto, non ha mai fatto rotazione, questo ha portato lo squilibrio tra liquidità e il bene immobile, un bene storicamente illiquido, va riequilibrata la misura, quindi va venduta una parte del portafoglio immobiliare ai prezzi giusti, sul ciclo di mercato corretto, vanno portati a casa i soldini e va riequilibrato il sistema degli investimenti, un’attività che andava fatta cinquant’anni fa colleghi, cinquanta, non cinque, e la risposta è: l’Inpgi svende gli immobili. Ma voi pensate che noi possiamo essere classe dirigente del Paese in questo modo? L’Inpgi è sottoposta a otto controlli, io rispondo al Ministero dell’Economia, al Ministero del Lavoro, alla Corte dei Conti, alla Covip, alla commissione bicamerale parlamentare sugli enti, io non sono un giornalista in questo momento, sono il legale rappresentante di un ente che a parte che nel sistema ha uno standing enorme, e che risponde ad un sistema democratico.
Allora qualche collega, ne vedo uno lì in piedi, giustamente mi dice “ma Andrea devi parlare di più, devi contrastare queste voci”. Ma scusate colleghi, io vi rappresento al massimo livello nelle istituzioni italiane, parlo con i ministri, e poi rispondo alle fesserie che siamo in grado di produrre? No, io questo non lo faccio perché ho un livello, uno standing, una dignità.
Allora io ve la voglio fare breve, perché ho parlato anche troppo, che cosa abbiamo di fronte? Abbiamo di fronte questo processo – e poi finisco – di mutamento, di cambiamento, di transizione, dentro il quale noi dobbiamo necessariamente ritrovare il nostro ruolo sociale, economico e il nostro patto generazionale, lo ha richiamato Raffaele, guardate che ci si riempie la bocca di patto generazionale, ma il patto generazionale è una cosa molto seria, molto seria, che in certi casi, nella temperia economia attuale, comporta una redistribuzione di risorse, non la creazione di nuove risorse, non so se mi sono spiegato, una redistribuzione di quello che c’è. Allora bisogna saperla fare bene, non c’è nessuno da punire, è stato detto, non c’è da punire niente e nessuno, però è un’attività che va fatta, perché ci sono alcuni elementi del passato che riguardano noi sul piano contrattuale, gli alti ufficiali delle forze armate, i magistrati, i professori universitari, diciamo questa linea è stata sorpassata un po’ da tutte le parti rispetto al processo di discussione democratica e sostanziale nel paese.
Allora finisco: io il 3 di marzo non sarò più il presidente dell’Inpgi e ho deciso di anticipare la mia fuoriuscita anche da presidente del sistema, perché non ritengo di dover rimanere un minuto in più quando uscirò, quindi nonostante dovessi finire a luglio finirò prima, finirò tutto insieme, non ricoprirò nessuna carica all’interno della categoria, di nessun genere, chi ha rivestito il ruolo che ho rivestito io con la forza e col consenso con il quale lo ha fatto, io sono stato eletto due volte all’Inpgi, una volta con l’85% dei consensi, una volta con 93, sono stato il primo presidente della storia dell’istituto ad essere eletto all’unanimità dal Consiglio di amministrazione, che contiene non solo giornalisti, contiene la Presidenza del Consiglio, il Ministero del Lavoro, la FIEG, la Federazione della Stampa, quindi uscirò e vi guarderò da distante, e non amo il ruolo del padre nobile, né tantomeno l’ingombro di uno che è stato così a lungo al vertice della categoria.
Io ho iniziato nel 1990 entrando nel direttivo del sindacato del Veneto, esco nel 2015, sono venticinque anni, nonostante io non abbia 70 anni, ma ho iniziato molto presto, venticinque anni straordinari, molto faticosi, pieni di successi, io credo che l’onore che mi avete conferito voi insieme a molti altri colleghi è un onore che non ha prezzo, nonostante qualche amarezza, io vi saluto e vi auguro ogni bene, perché avrò poche occasioni di parlarvi ancora nel futuro e vi dico, vi saluto con una cosa: siccome qualcuno ha giocato sulla mia passione per il casinò, quando il croupier se ne va, il croupier sta lì un paio d’ore, fa questo gesto: le mani sono sempre pulite. Grazie.

Moderatore
Voglio ringrazia Andrea Camporese anche per la forza emozionale di questo discorso, che capisco perfettamente e che mi sembra assolutamente giusto e corretto, perché dimostra anche un portato di impegno pluriennale che non si inventa. Detto questo, prima di chiudere i lavori di questa mattina, mi corre l’obbligo di leggervi il saluto del Presidente del Consiglio regionale, che è impegnato oggi in Consiglio, Mario Loizzo, e che quindi non è potuto intervenire ai lavori, così come previsto, del nostro congresso.
“I lavori del Consiglio regionale, impegnato in un’importante sessione di bilancio, non mi consentono di intervenire – come avevo invece in programma – all’avvio del settimo congresso regionale dell’Associazione della Stampa di Puglia, né il prevedibile protrarsi della seduta per l’intera giornata con l’esigenza costante di assicurare una maggioranza qualificata nelle fasi di votazione, mi permetterà di raggiungervi nel pomeriggio. Invito, pertanto, la presidenza congressuale a rivolgere ai presidenti di FNSI, Inpgi e a tutti i delegati il saluto dell’intero Consiglio regionale e mio personale.
Tengo anche a rappresentarvi l’apprezzamento per la funzione insostibuibile che la stampa svolge quotidianamente al servizio della comunità, della partecipazione democratica e della difesa dei valori civili e sociali comuni, tanto più questo nel momento in cui l’Europa e il nostro stesso modello di vita sono aggrediti dall’odio e da culture razziste, xenofobe e fondamentaliste, che portano la morte nelle capitali del continente e in altri paesi del mondo.
Sono certo che anche da questa delicata fase storica generale, le giornaliste e i giornalisti pugliesi trarranno le motivazioni per impegnarsi ancora di più con la propria indiscussa professionalità a garantire il diritto dei cittadini ad una informazione libera, trasparente pluralista.
Le istituzioni, in particolare il Consiglio regionale, saranno con voi nella battaglia della categoria a tutela degli istituti contrattuali e nelle sfide contro il precariato, per assicurare un futuro ai giovani giornalisti e per affermare la più assoluta parità di genere e di opportunità.
Nel rinnovare il saluto dell’intera assemblea agli amici della carta stampata, della televisione, del web e dei nuovi media, vi auguro buon lavoro. Mario Loizzo”.
Ringraziamo anche Mario Loizzo, ovviamente questo lo prendiamo come un impegno non di maniera, nel senso che poi lo andiamo ad inseguire per dire che nel futuro dovrà impegnarsi in questa direzione.
Detto questo io chiuderei qui i lavori di questa mattina dandovi appuntamento per le tre e invitando chi volesse iscriversi a farlo.

……
Scusate, prima che ci alziamo per la pausa, proporrei di completare il tavolo della presidenza nominando le colleghe Dautilia e Gentile, se sono disponibili e siamo tutti d’accordo, in maniera tale che alla ripresa per le tre riprendiamo con l’ufficio di presidenza completo. Siamo tutti d’accordo? Andiamo avanti così, allora ci rivediamo qui alle tre per la ripresa dei lavori.